Sono passati oramai 3 anni dall'inizio di quell'incubo a livello globale chiamato Covid-19, e se ci fermiamo un attimo a riflettere, si ha la sensazione di chi ha vissuto un incubo, un incubo fatto di lutti e paure, di auto che passavano avvertendo di non uscire di casa, di lockdown e zone rosse, di coprifuoco e mascherine, di tamponi e vaccini, di passeggiate e confini comunali da non varcare, di igienizzanti in tasca, di divieti per i luoghi affollati e di deserti tutt’intorno, di telelavori e videoconferenze, di lenzuoli “Andrà tutto bene” quando poi nulla è andato veramente bene.
Tutto iniziò il 20 febbraio del 2020, la Regione Veneto annunciò che all’ospedale di Schiavonia erano stati isolati i primi due casi di Covid-19 in Veneto, proprio poche ore dopo il “paziente zero” a Codogno, in Lombardia. E dire che fino a poche ore prima di “virus cinese”, si parlava sì, ma senza esagerare, perché sembrava lontano e che non potesse nuocerci così tanto.
In quello stesso giorno di tre anni fa, grazie all’intuizione di un medico venne diagnosticata a Schiavonia questo nuovo tipo di influenza. Intanto, Adriano Trevisan, pensionato di 77 anni, morì senza avere ripreso conoscenza e per la statistica fu la prima vittima ufficiale del virus in Italia.
Poco dopo, il 27 febbraio, Luca Zaia, primo in Italia, prese una decisione che avrebbe cambiato il modo di affrontare la pandemia e ordinò lo screening di tutti i residenti nel Comune di Vo’, che nel frattempo erano stati chiusi in una zona rossa impenetrabile proprio come Codogno. Una decisione che fece in modo di censire 6mila 800 abitanti tramite l'uso di tamponi, di cui il 1,7% risultò positivo.
Da li a poco, il 29 febbraio, arrivò anche il primo caso in Polesine, un 50enne di Adria ricoverato in Malattie Infettive. Il 2 marzo il virus era già in tutta Italia e il 3 marzo c’erano tremila positivi.
Il 9 marzo il governo, dichiarò la zona rossa nazionale e pochi giorni dopo, l’11 marzo arrivò il lockdown, fu il momento di tutti chiusi in casa. Il 17 marzo quando il Polesine pianse la sua prima vittima: Bruna Trentini, 91 anni, di Bergantino.
Ad oggi siamo ritornati quasi alla normalità, e il numero dei contagi è diventato un fatto statistico, sembra quasi che non sia successo a noi. Un incubo che invece ci è toccato vivere in un crescendo di emozioni e di timori.
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